Il Museo Archeologico Provinciale fu istituito nel 1927 e allestito dal 1964 nel complesso storico di San Benedetto e custodisce una ricchissima documentazione dell’intera provincia di Salerno, dalla preistoria al tardoantico.
Ad accogliere il visitatore all’ingresso del Museo c’è uno splendido giardino con un primo lapidario contenente reperti di epoca romana in particolare statue, rilievi figurati e basi onorarie. All’interno, invece, l’esposizione archeologica si struttura su due piani, seguendo un percorso sia cronologico che topografico. Al piano terra è infatti allestita la sezione “Provincia archeologica”, che raccoglie i più importanti reperti provenienti da tutto il territorio provinciale di Salerno. Un percorso che ripropone le principali correnti culturali che si sono affermate in Campania dalla preistoria all’epoca romana, con un focus sugli aspetti del costume maschile e femminili.
Il primo piano è, invece, quasi interamente dedicato al sito etrusco-campano sannita di Fratte, situato attualmente alla periferia settentrionale della città, databile dalla fine del VI fino al I d. C. Il percorso, che illustra la storia del sito anche alla luce delle recenti indagini archeologiche condotte dall’Università degli studi di Salerno, è strutturato in due parti: l’abitato e le necropoli, con focus sul mito di Eracle.
Sullo stesso piano una sala dedicata alla testa bronzea di Apollo, datata tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C., straordinario reperto divenuto il simbolo dei Musei della Provincia di Salerno.
Attorno a questo straordinario reperto ruotarono molti misteri; alcuni tratti del volto, infatti, lasciavano supporre che ritraesse Alessandro Magno, in particolare per via dei capelli ricci che coronano il viso. Fu l’archeologo Domenico Mustilli, uno dei massimi esperti di scultura classica, a studiare per primo la testa bronzea, concludendone che fosse stata realizzata dall’artigiano Pasiteles, famoso per la sua brillante tecnica di lavorazione su ogni materiale.
Ad arricchire i percorsi ci sono installazioni multimediali, che ricostruiscono l’insediamento di Fratte, le antiche rotte del Mediterraneo e ripropongono l’atmosfera del celebre ritrovamento della testa di Apollo, un accadimento storico che ebbe dell’eccezionale, tanto che il 5 maggio 1932 Giuseppe Ungaretti non poté fare a meno di raccontare l’emozione dell’essersi trovato “faccia a faccia” con Apollo durante la sua visita al Museo Archeologico Provinciale di Salerno. Ma andiamo con ordine.
Il 2 dicembre 1930 il Golfo di Salerno fu protagonista di una pesca davvero miracolosa. A dicembre i salernitani sanno bene che l’aria può essere pungente, umida, ma sempre un po’ tiepida nel bel mezzo del mare, mai eccessivamente fredda. Un pescatore, tirando le sue reti, notò un peso sorprendente. Probabilmente pensava di aver pescato qualcosa di grosso, ed in effetti era così. Il gruppo di pescatori che era insieme a lui lo aiutò a tirare fuori dall’acqua la testa del dio: ben 51 centimetri di scultura bronzea, la stessa che oggi continua a lasciarci a bocca aperta.
Ebbero quindi inizio i lavori di restauro, affidati a Giulio Raccagni, per portare di nuovo alla luce i dettagli della testa di bronzo che per lungo tempo aveva vissuto sul fondale. Oggi possiamo godere a pieno dei tratti morbidi e delicati del viso della divinità. Il dettaglio straordinario emerso dal restauro è che questa testa appartenesse di fatto ad un’intera statua, dalle dimensioni colossali.
La vicenda del ritrovamento della testa di Apollo sprigionò il suo fascino anche su Giuseppe Ungaretti, che ne scrisse in una prosa poetica di rara bellezza, titolata appunto “La pesca miracolosa”:
È già quasi notte, e in fila tornano in porto i pescatori d’alici. Raccogliendo le reti, una sera, a una maglia restò presa non la gola d’un pesciolino, ma a un cernecchio, una testa d’Apollo. Fu allora alzata in palmo d’una mano rugosa e, tornata a dare vita alla luce sanguinando per le vampe del tramonto – al punto del collo dove la reciso – a quel pescatore parve il Battista. L’ho veduta al Museo di Salerno, e sarà prassitelica o ellenistica, poco importa: ma questo volto, che per più di duemil’anni fu lavorato dal mare nel suo fondo, ha nella sua patina tutti i colori che oggi abbiamo visto, ha conchigliette negli orecchi e nelle narici: ha nel suo sorriso indulgente e fremente, non so quale canto di giovinezza risuscitata! Oh! Tu sei la forza serena e la bellezza. Quale augurio non ci reca quest’immagine che, fra gli ulivi, è finalmente tornata fra noi”.