L’antica chiesa di Sant’Andrea de Lavina rappresenta una ricchezza unica per la città. Situata nel centro storico, è un luogo di suggestive stratificazioni che nel tempo hanno permesso di ricostruire descrizioni e interpretazioni degli ambienti, nonché di vivere completamente l’esperienza della storia cittadina nella sua storia millenaria.
Il suo nome si deve al torrente Lavina (letteralmente: “acqua di scolo”) che scorre ancora adesso sotto la strada ad essa prospiciente. Nel silenzio di una passeggiata pomeridiana lo scrosciare dell’acqua sotto i propri è chiaramente distinguibile, ma questo è solo uno degli aspetti che rende la visita alla Chiesa un’esperienza unica.
L’edificio ipogeo, infatti, potrebbe essere la Ecclesia Sancti Andree de Portella, un piccolo cenobio di matrice greco-bizantina destinato alla bi-ritualità, che ospitava pochi monaci cenobitico-eremitici, di rito sia occidentale che orientale. Il campanile del XII secolo rimanda ad affascinanti modelli di architettura islamica, già diffusi ed attestati in Costiera Amalfitana.
Dal Cinquecento al Settecento la struttura ecclesiastica passa dal patronato della famiglia Capograsso divenendo una delle parrocchie più popolate della città, seppur in un contesto socio-economico dominato dall’attività commerciale e artigiana, ma anche contaminato dalle difficili condizioni del centro storico e del quartiere “Fornelle”, tra prostitute, spesso, come si legge, ”venute all’obbedienza”, ma anche tante famiglie in un contesto socio-economico di difficoltà.
Nel 1799 la Chiesa è oggetto di un saccheggio a opera dell’esercito francese, in cui vengono rubate le reliquie del Santo, poi rimpiazzate, e numerose reliquie.
L’Ottocento vedrà i fasti del patronato dei De Vicariis, che si occupa di stuccarla e abbellirlam seguito da un lento declino che si protrarrà per tutto il Nocevento e a seguire, causa le alterne vicende delle famiglie reggenti e del trasferimento della sede parrocchiale e quindi il progressivo abbandono della Chiesa.
La Chiesa ebbe grande fascinazione anche sul poeta Alfonso Gatto, nato del 1909 in vicolo Amalfitano, proprio alle spalle della torre campanaria. Nella sua poesia “Oblio” esprime infatti la gioia della vita fatta memoria ispirandosi proprio alla Chiesa e alle sue storie: “Tutto si calma di memoria resta / il confine più dolce della terra, / una lontana cupola di festa.”